Trump, lascia o raddoppia?




Sono passati quasi due anni da quando Twitter ha aumentato il limite massimo delle battute dei singoli messaggi. Da 140 battute è passato a 280. All’inizio, secondo l’azienda, doveva essere un esperimento solo per alcune lingue. Poi però è diventata la norma, perché la vera ragione di quel cambiamento era un’altra, come ben evidenziava un articolo de La Stampa.

La vera ragione del cambiamento è però un’altra: “Abbiamo visto che, in tutti i mercati, quando le persone non sono costrette a comprimere i propri pensieri in 140 caratteri e ne hanno ancora a disposizione, twittano di più”. È questo il punto, incrementare il traffico, eliminare una barriera obsoleta (era nata dalla lunghezza degli sms, 160 caratteri), facilitare la comunicazione. Per provare a far crescere un social network popolare quasi solo tra addetti ai lavori: due miliardi di persone sono su Facebook, 328 milioni su Twitter, un rapporto di sei a uno. E poco conta che il presidente Trump ne sia un appassionato sostenitore. 

E veniamo quindi al Presidente Trump. La data delle prossime elezioni si avvicina. Lui si sente sempre più vicino al giorno del giudizio e ogni pretesto è buono per sfogarsi con Twitter. 

A lui i 280 caratteri di Twitter non bastano mica!

Ormai ha preso l’abitudine di scrivere veri e propri comunicati utilizzando due o più tweet consecutivi, rendendo anche complicata la comprensione di quello che va dicendo. Infatti se andate sul suo profilo molto spesso dovrete leggere a ritroso perché l’ultimo tweet altro non è che la continuazione di un discorso iniziato precedentemente. Insomma, sembra un gioco della settimana enigmistica, ma non lo è.

È il disperato tentativo di un Presidente di rimanere al potere e poter continuare la sua politica protezionistica dell’American first.





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