Democrazie occidentali, il nodo irrisolto della ridistribuzione della ricchezza



Domani 2 giugno è festa! Festa della Repubblica democratica italiana, fondata sul lavoro. Tutti infondo desideriamo democrazia e libertà e vi sono molte leggi e regolamenti nei Paesi occidentali, a tutti i livelli, che vanno in questa direzione.

Ma davvero poche sono le leggi che provano a rendere equo il sistema capitalistico, ovvero finalizzate a stabilire con meccanismi certi e affidabili che la ridistribuzione della ricchezza prodotta nei cosiddetti Paesi Occidentali, (che come sappiamo sono molto orgogliosi di essere democratici e liberali) avvenga in modo equo e giusto.

Facciamo un esempio pratico e concreto così da renderci subito conto di qual è l’essenza del problema.

Le tasse e le trattenute previdenziali sono fissate sempre in percentuale e non in valori assoluti.

Per esempio Iva al 22% o IVA al 4%, scaglioni Irpef anch'essi sono stabiliti in percentuale a seconda delle fasce di reddito. Stesso dicasi per le trattenute previdenziali tipo Inps.

Così quindi al variare dell'importo, varia automaticamente, anche quanto corrisposto in tasse/contributi.

Anche le retribuzioni dei lavoratori autonomi spesso seguono questo ragionamento, si parla infatti di provvigioni o commissioni in percentuale al fatturato. A volte è prevista una quota fissa più una base provigionale. Anche in questo caso la retribuzione varia in modo automatico.

Nella maggior parte dei casi per i lavoratori subordinati invece, la retribuzione non è calcolata partendo da una base percentuale, ma è stabilita partendo dai cosiddetti minimi previsti nei contratti collettivi, che sono espressi sempre in valori assoluti. Questo significa che quei valori non cambiano in automatico, ma solo con nuovi o successivi accordi tra le parti. Un tempo c'era e fu abolito il meccanismo della Scala mobile che puntava proprio a tutelare i lavoratori subordinati dalla perdita di potere d'acquisto.

La differenza tra valori che maturano da una percentuale e quelli basati su valori assoluti si ripercuote sulle condizioni economiche a seconda dell’andamento dell’economia.

Se l'economia è in fase espansiva (crescita del PIL per intenderci), chi ha retribuzioni su base percentuale, vede subito riconosciuto un miglioramento delle condizioni economiche. Mentre chi ha la retribuzione fissa con valori assoluti resta per così dire al palo, in standby.

Se invece l'economia entra in fase recessiva, quindi decrescita del PIL, diminuiscono in proporzione le provvigioni e le rendite in percentuale per gli autonomi, ma soprattutto aumentano le aziende a rischio di fallimento che possono causare lo stato di disoccupazione dei lavoratori (la maggior parte dei quali è a reddito fisso), che poi, in caso di perdita di lavoro, sono costretti a ricorrere ai cosiddetti ammortizzatori sociali, tra cui il tanto discusso Reddito di cittadinanza.

Ecco dunque l'aspetto più importante che, con questo editoriale, si vuol fare notare: è proprio il meccanismo di ridistribuzione della ricchezza (ma se vogliamo della povertà) a essere distorto, iniquo, ingiusto.

Se l'economia va bene guadagnano soprattutto i più ricchi che si arricchiscono ancora di più. Se l'economia va male, a pagare il prezzo più elevato sono soprattutto i più poveri che si impoveriscono ancora di più.

In conclusione, uno Stato che si dichiara democratico e libero, a mio avviso, non può esserlo del tutto e in modo compiuto, se fa finta di voler risolvere il problema alla radice e se quindi non si impegna a ricercare e individuare concretamente uno o più meccanismi di ridistribuzione equa della ricchezza/povertà prodotta.

E come certamente saprà, caro Presidente del Consiglio Mario Draghi, la ridistribuzione equa della ricchezza prodotta non si ottiene giocherellando con le aliquote degli scaglioni Irpef.

 

 

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